I trattati - Indiani d'America

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I trattati

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I primi quattro secoli di contatto tra bianchi e nativi nordamericani produssero un continuo stato di guerra ma anche una serie virtualmente ininterrotta di trattati e accordi. La continua guerra dimostra una verità che non sorprende chi abbia una conoscenza anche superficiale della storia dei nativi americani: i trattati tra i bianchi e gli indiani venivano sistematicamente violati appena firmati. Furono decine i trattati stipulati dai regimi coloniali e dalla corona inglese con le nazioni indiane e ancora più numerosi quelli stipulati dai governi americani.

Quattrocentoquarantasei trattati

Tra il 1778, anno del primo trattato con la nazione Delaware, e il 1868, anno dell`ultimo trattato di pace con i Nez Percé, i trattati stipulati e ratificati tra gli Usa e le nazioni native furono trecentosessantasette. A questi si devono aggiungere due trattati che, ratificati dal Senato, non furono mai promulgati dal presidente e quattro accordi solenni che, nonostante fossero stati ratificati e promulgati, ugualmente rimasero come i precedenti assenti dalle pubblicazioni ufficiali. Oltre ai trecentosettantatre trattati firmati dalle tribù indiane, dal 1872 al 1911 gli Stati Uniti d'America proposero, fecero accettare dai nativi, ratificarono e promulgarono settantatre accordi solenni che integravano, miglioravano e modificavano i trattati in vigore oppure che modificavano ex novo le relazioni tra le due parti. In totale in centotrentatre anni di vita degli Usa gli accordi e i trattati stipulati furono quattrocentoquarantasei, poco più di tre trattati ogni anno. Considerando che le tribù indiane con un minimo di popolazione in grado di essere considerate nazioni erano ben lontane dal numero totale dei trattati, si può affermare che in pratica ogni tribù indiana del territorio degli Stati Uniti d'America firmò almeno un trattato e alcune più di uno. Nel corso della loro storia i Cherokee, per esempio, firmarono diciannove trattati, la confederazione Sioux nelle tre componenti Dakota, Lakota e Nakota firmò in totale ventinove trattati, gli Shawnee sedici, i Chippewa quaranta, i Seminole cinque e cosi via.
Sarebbe troppo facile attribuire le continue e reiterate violazioni dei trattati alla slealtà bianca. Spesso era cosi, perché i governi dei bianchi, coloniali o federali, si impegnavano nei trattati in cattiva fede. Più spesso, comunque, i commissari bianchi che negoziavano i trattati avevano ragionevolmente buone intenzioni e si aspettavano che la loro parte aderisse completamente ai termini dell'accordo. Sfortunatamente né i governi coloniali né quelli federali avevano i mezzi per costringere all'accondiscendenza la gente che governavano. Per esempio, il confine occidentale dell'insediamento bianco stabilito dalla proclamazione del 1763, conforme a una promessa centrale del grande trattato concluso a Easton, in Pennsylvania, fu immediatamente violato. Inoltre, il tentativo di farlo rispettare portò a un grande scontento lungo la frontiera, che contribuì a provocare la Guerra di indipendenza americana. Nel XIX secolo i trattati federali si dimostrarono impossibili da far rispettare, perche di frequente gli Stati, i territori, i singoli comandanti militari, le forze della milizia o le bande di coloni prendevano le questioni nelle loro mani e facevano come volevano. Peggio ancora, all'interno dei governi federali la politica indiana era amministrata con scandalosa incoerenza e cambiava da un'amministrazione all'altra. In pratica tutta la questione dei trattati si risolse in una grande e irrisolta «anomalia politica», in quanto non esistevano né presupposti politici né giuridici né morali per promulgare trattati che tutti negli Usa consideravano impossibili da rispettare.

Gli indiani e la sovranità

I trattati garantivano l'esistenza di un «soggetto giuridico sovrano», la nazione indiana, che tutti dopo la conclusione del trattato sconfessavano nella sostanza e nella pratica. l primi trattati, infatti, proclamavano solennemente «l'amicizia e la pace tra le parti contraenti» e la possibilità da una parte e dall'altra di dichiarare guerra. In tutti i trattati si parlò sempre di pace e amicizia perpetua tra i bianchi e le nazioni indiane. Nei trattati stipulati si parlò molto spesso di confini tra nazioni, fatto che costituì una sorta di ammissione del possesso di una sovranità giuridica e politica dei nativi, mentre invece la tendenza generale della società americana nel suo complesso non riconosceva questa sovranità a nazioni ritenute selvagge. Ricordiamo che la maggior parte dei trattati fu stipulata per ottenere la terra degli indiani, per cui anche questa fu un'ammissione precisa della sovranità delle nazioni native. Già nel 1831 e nel 1832 la corte suprema americana si era pronunciata sul fatto che le nazioni indiane rappresentavano Stati sovrani sotto tutti i punti di vista e che termini come «trattato››, «nazione››, «Stato» dovevano essere applicati alle nazioni indiane con lo stesso significato con il quale si applicavano alle nazioni europee e del mondo intero. Nel corso degli anni questa sovranità delle nazioni indigene si andò erodendo sotto la spinta inesorabile dell'avanzata della frontiera, che causava persino la sparizione fisica di tali nazioni. Con il tempo si fecero largo termini giuridici come «nazioni sovrane dipendenti» e la convinzione che le nazioni indigene non fossero nazioni straniere, ma nazioni operanti esclusivamente sotto la sovranità e la protezione degli Usa. Gli altri Stati sovrani dell'America settentrionale e dell'Europa erano esclusi dal potere di intrattenere rapporti ufficiali con le nazioni indiane che risiedevano entro i confini degli Usa. L'effetto pratico di queste gravi anomalie fu che con il passare degli anni nei trattati stipulati con gli indiani furono inserite clausole che permetteva no la modifica unilaterale di certi articoli da parte del presidente degli Usa o del senato riguardo a svariati e importanti argomenti. In quasi tutti i trattati furono inserite molte clausole economiche e amministrative, tipiche di relazioni tra una potenza sovrana e un protettorato. Senza dubbio le clausole che nel corso degli anni contribuirono a rendere sempre più anomali i trattati furono quelle che additavano alle nazioni indiane le scelte da compiere per adeguarsi alla civiltà dell'uomo bianco, seguendo il modello di sviluppo di una civiltà contadina e agricola che tra l'altro cominciava ad andare in crisi anche nelle società industriali.
Di fronte alle pretese dei bianchi vi furono anche serie difficoltà da parte degli indiani. L'organizzazione tribale della maggior parte delle nazioni indiane investite dalla questione dei trattati era libera ed estremamente democratica con sconfinamenti nell'anarchia. I capi raramente erano sovrani in senso euroamericano e questo significava che, se anche un particolare capo accettava un trattato, la decisione non era necessariamente vincolante per qualsiasi altro capo o guerriero della tribù. Soprattutto nelle nazioni di cacciatori delle pianure più lontane dal contatto con i bianchi, il potere era diluito, parcellizzato in una serie di strutture familiari, di clan, di bande e di tribù che limitavano volutamente L'accentramento di troppo potere in una sola persona o famiglia oppure clan. Per lo più il potere di un capo si fermava alla banda che aveva deciso di seguirlo negli spostamenti, banda che a volte era composta anche da poche famiglie o clan. Alcuni capi famosi e pieni di prestigio in realtà esercitavano un potere effettivo solo su poche decine di persone rispetto al totale della tribù o della nazione. Nella seconda meta dell'Ottocento il caso più eclatante fu senz'altro quello di Nuvola Rossa. L'Oglala venne sempre visto e considerato dai bianchi come il «capo supremo dei Sioux», In realtà il potere di Nuvola Rossa non andò mai oltre il suo piccolo clan e acquistò forza solo quando l'intero sistema di equilibrio all'interno della tribù Oglala si frantumo sotto il peso micidiale della segregazione nelle riserve, dei mutati sistemi di sopravvivenza basati sulla caccia e in seguito alla distruzione sistematica delle usanze tribali perseguita dagli agenti governativi.

Gli indiani e la proprietà privata

l trattati stipulati con il governo degli Stati Uniti erano viziati all'origine da fondamentali diversità culturali, la più importante delle quali era rappresentata dai concetti di possesso e proprietà individuale. La maggior parte delle culture indiane non aveva concetti di proprietà privata e di possesso esclusivo. Nessuno possedeva un particolare pezzo di terreno. Una certa tribù poteva reclamare il diritto di cacciare o vivere su di esso e poteva difendere quel diritto con la forza delle armi. La maggior parte delle tribù era disposta a fare accordi che permettessero ad altre tribù o individui di cacciare sulla sua terra. Tali accordi non trasferivano la proprietà della terra all'altra parte in causa. All'interno di una stessa tribù vi erano confini per i diritti di caccia di certe bande rispetto ad altre, ma tutto era cosi fluido che un Minneconjou non si sarebbe mai permesso di scacciare un Oglala dai terreni di caccia dell'uno o dell'altro. Le società native erano società fluide ed estremamente mobili con una popolazione relativamente scarsa in territori enormi. Lo spazio era il vero termine di paragone. Quando una zona di caccia si faceva pericolosa per la presenza di troppi nemici, la tribù o la banda semplicemente si spostava in cerca di territori meno abitati e questo fu sempre possibile prima dell'arrivo dei bianchi. Mano a mano che lavanzata della frontiera tolse territori alle popolazioni native, la terra cominciò per esse a divenire sempre più importante. Alcune nazioni cominciarono a capire il valore delle loro zone di caccia, considerate ormai come il bene supremo da difendere a ogni costo. Solo alcuni grandi statisti indiani, come Tecumseh e Toro Seduto, ebbero sentore che le loro nazioni andavano incontro a una fine amara. Le nazioni indiane non erano mai state nazioni unite in blocchi compatti, piuttosto erano per necessità entità fluide e poco stabili. Ora, nel momento del massimo bisogno si cominciavano a delineare i caratteri necessari affinché un aggregato di persone sparse e divise diventasse una nazione, unita e compatta per combattere contro un nemico mortale. Si può affermare che mano a mano che i trattati svilivano il concetto di sovranità nazionale delle tribù indiane, mentre l'ondata dei bianchi cominciava a sommergere queste ultime, in esse cresceva il concetto di nazione inteso etnicamente, forse l'ultima spiaggia per resistere alle fine imminente come popoli dalle precise identità culturali. Era tuttavia troppo tardi: l'accerchiamento dei bianchi era ormai un fatto compiuto e la disparità di forze enorme.

 
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